improvvisazioni dall’inverno caprese

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

ora chiudi gli occhi: in modo che ora
possiamo rinserrare tutto questo così,
nella nostra oscurità, nel nostro riposare,
(come esseri a cui appartiene).
insieme ai progetti, ai desideri,
al non fatto che un giorno faremo,
da qualche parte là dentro di noi, nel fondo
c’è anche questo; è come una lettera
che sigilliamo.
lascia chiusi gli occhi. quì non c’è,
ora qui non c’è altro che notte;
la notte della stanza attorno a un lume,
(tu la conosci bene).
eppure tutto questo adesso è in te e veglia -
e sorregge il tuo volto dolcemente chiuso
come una marea...

ora sorregge te. e tutto in te sorregge,

e tu sei come un petalo di rosa posato
sull’anima, che sale.
perchè vuol dire tanto per noi questo: vedere?
stare sul ciglio di una roccia?
a chi pensavamo salutando la cosa
che era lì davanti a noi?…
sì, che cos’era?

chiudi più forte gli occhi e di nuovo
distingui a poco a poco: mare intorno a mare,
che su se stesso grava, deborda dal suo stesso azzurro
e vuoto al margine, con un fondo di verde.
(di quale verde? non esiste altrove…)
e d’improvviso, vertiginose, da lì
si sfrenano le rocce, da un profondo tale che
nel ripido ascendere non sanno come
debba cessare il loro ascendere. di colpo si spezza
contro i cieli, la dove c’è densità
di troppo cielo. e sopra, guarda,
c’è di nuovo cielo, e più oltre ancora, dentro
a quella dismisura: dove non è?
non lo irradiano i due scogli?
la sua luce non colora il bianco più remoto, la neve,
che sembra in movimento e in lontani spazi
porta con sé gli sguardi? e non cessa
d’essere cielo, prima che lo respiriamo.

chiudi, chiudi bene gli occhi.
era questo?
lo sai appena. già non puoi più
separarlo dal tuo interno.
il cielo dentro si fa riconoscere a fatica.
il cuore va e va, non si volge a guardare.
eppure, tu lo sai, a sera noi possiamo
richiuderci così, come gli anemoni,
ripiegando sugli eventi di un giorno,
e al mattino di nuovo aprirci un po’ più grandi.
fare così non solo ci è concesso,
questo è ciò che dobbiamo: imparare a chiuderci
sopra l’infinito.

( hai visto oggi il pastore? lui non si chiude.
come potrebbe? gli scorre
dentro il giorno e di nuovo scorre fuori
come da una maschera, dietro alla quale è il nero…)

ma noi possiamo chiuderci, sprangarci,
e tra le cose oscure che in noi sono da tempo
dare alloggio anche a un resto d’altro inconcepibile,
come esseri a cui appartiene.
rainer maria rilke

un vento di primavera

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

con questo vento destino giunge; lascia, lascia
che giunga, tutto quanto urge e non sa vedere,
ma che sarà nostro intimo ardore – : tutto questo.
( fai silenzio e rimani immobile, sì che possa trovarci).
o il destino nostro giunge con questo vento.

da qualche parte questo vento nuovo,
che oscilla perchè regge l’indicibile,
reca attraverso il mare ciò che noi siamo.

lo fossimo davvero. saremmo a casa allora.
( i cieli in noi potrebbero innalzarsi e ricader di nuovo).
ma con questo vento sempre e sempre ancora
il destino ci sovrasta immane.
rainer maria rilke

oceano mare

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

la spiaggia. e il mare.
potrebbe essere la perfezione – immagine per occhi divini – mondo che accade e basta, il muto esistere di acqua e terra, opera finita ed esatta, verità – verità – ma ancora una volta è il salvifico granello dell’uomo che inceppa il meccanismo di quel paradiso, un’inezia che basta da sola a sospendere tutto il grande apparato di inesorabile verità, una cosa da nulla, ma piantata nella sabbia, impercettibile strappo nella superficie di quella santa icona, minuscola eccezione posatasi sulla perfezione della spiaggia sterminata. a vederlo da lontano non sarebbe che un punto nero: nel nulla, il niente di un uomo e di un cavalletto da pittore.
… giacché sempre è così, basta il barlume di un uomo a ferire il riposo di ciò che sarebbe a un attimo dal diventare verità e invece immediatamente torna ad essere attesa e domanda, per il semplice e infinito potere di quell’uomo che è feritoia e spiraglio, porta piccola da cui rientrano storie a fiumi e l’immane repertorio di ciò che potrebbe essere, squarcio infinito, ferita meravigliosa, sentiero di passi a migliaia dove nulla potrà essere vero ma tutto sarà…
alessandro baricco

e disse

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

“non sei caduto dal cielo e la terra non è un posto per angeli in esilio. non è il fondo di precipizio del cielo. terra è la nostra sostanza, siamo fatti di acqua che ti verso a gocce e di aria che ti fa muovere il petto. sei della specie umana, guardati intorno e riconosci finalmente. la terra è la nostra altezza calpestabile. dal bordo del mare alla cima più alta è tutto quello che ci spetta. tu sei andato molte volte lassù a cercarti il confine dove la terra smette e io sono venuto con te. abbiamo la stessa esperienza, la cima è un vicolo cieco dal quale si deve semplicemente ritornare indietro. lassù la terra non ha altro da aggiungere. si deve sempre scendere, dare le dimissioni dall’altezza raggiunta. guarda in giù adesso, metti a fuoco gli occhi sulla distanza corta, rientra nella taglia e nell’altezza della terra. è grandiosa, sì, la spinta a scalare montagne, cavalcare altezze, ma l’impresa maggiore sta nell’essere all’altezza della terra, del compito assegnato di abitarla”.
erri de luca

 

é quel sogno

untitled 2009. copyright salvatore marrazzo

é quel sogno che portiamo in noi
che qualcosa di miracoloso avvenga,
che debba avvenire -
che il tempo si apra
che il cuore si apra
che le porte si aprano
che la roccia si apra
che le sorgenti scaturiscano -
che il sogno si apra,
che un mattino penetriamo
in una baia di cui nulla sapevamo.
olav h. hauge

visita a un albero

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

esistono in montagna alberi eroi, piantati sopra il vuoto, medaglie sopra il petto di strapiombi. salgo ogni estate in visita a uno di loro. prima di andare via monto a cavallo del suo braccio vuoto. i piedi scalzi ricevono il solletico dell’aria aperta sopra centinaia di metri.
lo abbraccio e lo ringrazio di durare.
erri de luca

funzione dell’arte

untitled 2010. copyright salvatore marrazzo

oggi si può forse meglio capire la funzione dell’arte, specialmente figurativa, ma anche della musica e della poesia:
far ricordare dei mondi (più d’uno) terrestri o extraterrestri che furono e che perirono, che vissero e non rivivranno (o sono immaginabili viventi) ben prima di questo Anthropo d’oppressione; mondi preistorici al di là delle età geologiche classificate, visibili o non visibili, Atlantidi o Lemurie, correlati al presente umano soltanto da somiglianze o tracce. l’arte riporta a ondate delle evocabili ombre che solo apparentemente somigliano agli antenati storici cui diamo un nome. l’arte calma o dissipa il dolore perché è il regno misterioso di un passato metatemporale senza dolore, in salvo nella sua assunzione nell’Invisibile.
guido ceronetti

l’albero

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

quest’albero e il suo stormire
cupa foresta di richiami,
di grida,
mangia il cuore oscuro della notte.

aceto e latte, il cielo e il mare,
la densa massa del firmamento,
tutto cospira a questo tremito,
che dimora nel denso cuore dell’ombra

un cuore che scoppia, un astro duro
che si sdoppia e deflagra nel cielo,
il cielo limpido che si crepa
al richiamo e al rintocco del sole,
fanno lo stesso rumore, fanno lo stesso rumore,
della notte e dell’albero al centro del vento.
antonin artaud

perchè una foresta

untitled 2011. copyright salvatore marrazzo

perchè una foresta sia superba
ha bisogno d’età e d’infinito,
oh, non morite troppo presto, amici,
sotto la grandine della miseria,
abeti che dormite nei nostri letti
fate eterni i nostri passi sull’erba.
rené char

gioia

untitled 2011.copyright salvatore marrazzo

lo splendore del sole
ti abbacinava ieri
dolendo
come la piaga
nelle pupille del cieco.
ma oggi lo splendore del sole
non è abbastanza lucente
per la lucentezza tua:
nell’infinito mondo non c’è
che questo tuo splendore
vero.
antonia pozzi