wall. ©2012 salvatore marrazzo
profumavo colline e pianure
nutrito del bagliore della luce
e accompagnavo i passi degli erranti
nella consacrazione della terra
tutte queste cupole campanili e templi
offerte per mille preghiere
questa pioggia improvvisa per mescolare
le mie fragranze alla resistenza delle pietre
sempre in agguato dalle fessure aperte
rocce che ricordano le mie cadute
al crepuscolo dei secoli che tramontano
nella fossa della storia
io ti amavo voce del mare così vicina
che consolavi i miei fremiti
alleati ai flauti cullati dagli ulivi solari
sono venuti di notte con i loro carri
rettili con cingoli affilati per radere i miei rami
pilastri del sogno costruito come un fiume
e vi rivedo bambini bruciati dal fosforo
le ceneri annerite dalle nuvole sbiancate
di sangue e di sciolta polvere
sotto i cieli feriti dal piombo indurito
gli ospedali insanguinati da cento granate
le scuole come cimiteri
e non dimentico la corsa del vento
per spegnere le vostre torce prive di genio
come pretendere che il fucile si nasconda
nella farina i razzi nella cucina
quando i letti sono sventrati sui corpi
addormentati le soglie insudiciate dall’infamia
come non vedervi pipistrelli
nella cecità della notte
stivali conquistatori che marciano sulle mie estati
lavati da limoni secolari
come non riconoscervi corvi
nei droni senza cervelli
e l’inverno coperto dai pianti delle sirene
le case come tombe senza sepolture
fra le grida scure fra le macerie
consolavo le stelle svegliate di soprassalto
sconvolte dalle scie delle vostre polveri
le mie foglie tenere martiri dei vostri incendiari
ve lo dico il timo è per profumare
il pane all’olio d’oliva dei miei fuochi
non per accendere i bracieri
né il rosmarino compagno dei miei cipressi
né l’acqua deviata dalla sua fonte
perdoneranno alla vostra memoria i suoi vuoti
ve lo dico il timo è per i cammini
augusti e fieri non per gli avvoltoi
il timo è per il riposo degli uccelli
liberati dalla paura e dalla disperazione
non per affamare gli alberi ed i nidi
non per punire le madri e le loro culle
vi sfido iene e voi caschi
il timo anche circondato dal Muro
sfonderà il mare il cielo e la terra
tanti eserciti per un’erba
non potranno impedire che i miei aromi
siano donati agli umani a braccia aperte
tahar bekri
untitled. ©2010 salvatore marrazzo
immaginavamo navi
come le stimmate del mare – immaginavamo navi
come steli di fiori marini e vette
di mare in terra – immaginavamo il rumore dell’isola,
il mare che batteva come una fontana
alta e la terra era impregnata e dolce
e senza dolore – e certamente questo immaginare
era tornare
al paradiso per la strada aperta
dalle parole e i corpi
si muovevano tenui e disumani come se il mondo dovesse
ancora venire. se tu parlavi io vedevo l’isola
dove i morti chiariscono
corpi fatti di rami e fili d’erba,
stanno seduti con il sole in faccia sulla piccola costruzione
del molo. falde di luce che perfezioniamo.
se tu parlavi io vedevo l’isola
con il giallo sferzante delle ginestre, l’attracco
silenzioso delle barche, la piazzetta in cemento, i cubi bianchi
dove siedono parallele le nostre figure
con occhi carichi di sguardo umano
e gli affetti lasciati nelle case
come una foce dimenticata.
siamo una compagine di vento
un canneto di carne lapidata
un fluttuare canoro di risorti
che perdono
lacrime
dall’occhio interno
perché il vento deve restare vento
e la cenere cenere fino alla fine del mondo
perché questo lasciare che accada
è più dell’amore, questo dire
chi deve andare vada.
maria grazia calandrone
untitled. 2012 ©salvatore marrazzo
questa parola non è stata pronunciata contro gli dei, questa parola e l’ombra di questa parola sono state pronunciate davanti al vuoto, da una moltitudine che non esiste.
quando la morte avrà fine, la radice di questa parola e la foglia di questa parola arderanno in un bosco che un altro fuoco consuma.
ciò che fu amato come corpo, scritto nella docilità dell’albero unico, sarà consolazione in un paesaggio lontano.
come l’immobile sguardo dell’uccello di fronte alla balestra, così la parola e l’ombra di quella parola attendono la loro permanenza aldilà della rivelazione della morte.
solo l’aria, unicamente ciò che dell’aria all’aria stessa trasmettiamo come testamento di ciò a cui si è dato nome, resterà di noi.la luce, la materia di questa parola e il rumore dell’ombra di questa parola.
juan carlos mestre
untitled. 2012 ©salvatore marrazzo
come sono sfacciate le rose come sono belle come sono
una efferata moltitudine le rose
ai confini del regno e sotto gli archi
dei paradisi le semprevive
rose – e diseguali
al cuore
disregnato perché
il cuore beve i fondi minerali
della pioggia e gli umori
beve
fino al bagliore della coppa – usura
con interesse altissimo il dolore
fino al lampo segreto
di chi non muore
più: l’immortale
viene nero e segreto come la rosa
dischiusa dai lamenti con la sua bocca
spoglia – slargato
fiore del giardino
con sedili di pietra e scolatoi
rosso e screanzato
fulcro
che disgiungi anche il sole
fermo sulle discariche e sui letti
al mattino, quando siamo più aperti e più chiari e
non crediamo alla morte ma ai colibrì
che tengono in vita le foreste
non crediamo alle docili evidenze ma alle inezie
a parole che sciamano nell’invisibile
destinate
a far splendere il cuore come un bagliore
d’oro nel petto di catrame degli scomparsi e in quello
splende l’oro maiuscolo del mondo – in quello
l’ovunque – in quello
il persempre, la promessa di tutte le rose
e il silenzio caduto poi dalle rose, il silenzio
di nessuno – solo
più amore, solo più rose, mia
deposizione, mia
rosa
immortale.
maria grazia calandrone
untitled. 2012 ©salvatore marrazzo
cammina cammina
ho ritrovato
il pozzo d’amore
nell’occhio
di mill’una notte
ho riposato
agli abbandonati giardini
ella approdava
come una colomba
fra l’aria
del meriggio
ch’era uno svenimento
le ho colto
arance e gelsomini
g.ungaretti
untitled. 2012 ©salvatore marrazzo
l’inseguimento, la lotta
sull’orlo invisibile,
le immagini afferrate, già credute
nostre, ed un istante
ridivenute nebbia,
il deluso ritorno -
di cacciatore a cui toccò soltanto
uno stormir di frasche e il breve lampo grigio
della lepre che a balzi si salva tra i cespugli;
di pescatore la cui lunga attesa
finì in un guizzo ironico di carpa,
quella beffa d’argento sull’amo appena sfiorato…
come siamo sconfitti!
come ci cadono di mano le inutili armi!
la pietra resta pietra, il foglio una frusciante
assenza, la tastiera
ostinato silenzio.
il vuoto si difende,
non vuole che una forma lo torturi.
margherita guidacci
untitled. 2008 ©salvatore marrazzo
breathe out, breathe in… this natural cycle forms the flow of ki (circulating life
energy in all things).
i live in a house in the woods. my previous house was located in a suburb. i can feel
the difference between an environment filled with an enormous amount of man-made
artificiality and that filled with natural things.
early in the morning, i roam about in the woods with my dog. i inhale the pure
energy of trees and plants into my body. the energy cleanes my body, removing
impurities as i exhale. i can feel this happening.
i have certainly become part of this cyclic process in nature. humans are not special.
trees, grass, soil, birds, bugs… all of us exist as equal on earth. this may be an illusion,
yet it fills my heart with confort.
what we do daily. for instance, speak, sing, draw, and paint, are caused by our
impulse to push out something in our body by breathing out. then, it becomes
necessary to take in something new by breathing in.
yamamoto masao
vesuvio e capri. 2012 ©salvatore marrazzo
la pratica delle arti costituisce la concretizzazione di questa vocazione all’universalità, di questa suprema missione di armonia che la saggezza cinese assegna al gentiluomo, il cui compito è di ritrovare l’unità delle cose, mettere in ordine il mondo, accordarsi al dinamismo della creazione. [...] si è naturalmente competenti in materia di poesia, pittura e calligrafia nella misura in cui si è gentiluomini, e non si saprebbe raggiungere questa competenza a meno di essere gentiluomo. per definizione, queste attività non possono essere praticate che da non professionisti: nel mestiere di vivere, non siamo forse tutti dilettanti?
simon leys
juan vicente piqueras. 2012 copyright salvatore marrazzo
vivo così distante dalla vita
che non distinguo quasi i suoi velieri,
il blu del suo spavento,
le gru coronate.
vivo così distante da me stesso
che socchiudo gli occhi per vedermi
e vedo al mio posto una donna
sopra il ponte perduto d’altri tempi
che mi chiede qualcosa con un urlo
ma senza voce né nave, senza senso
vestita con la mia sete,
lontano da tutto.
vivo così distante dalle mie mani
che non riesco a scorgere
le parole che scrivo.
juan vicente piqueras
fiori. 2012 copyright salvatore marrazzo
fiori.
una valle di fiori.
fiori di neve.
fiori stellati.
fiori di ghiaccio
sui vetri delle finestre.
fiori sulle tue guance,
fiori nel letto,
fiori della pelle
dal profumo intenso.
rose nella bocca,
con le spine.
punture, tremiti.
cerco le tracce
salate del sangue.
le mie, le tue.
con la saliva rimargino
le ferite sanguinanti
del cuore.
murate in un castello.
saliva, sangue e latte.
davanti a occhi sgranati
sta sorgendo
l’aurora.
barbara korun