si allontana il tempo,
ti allontani.
e la tua immagine immobile
sul muro interno.
ghiannis ritsos
si allontana il tempo,
ti allontani.
e la tua immagine immobile
sul muro interno.
ghiannis ritsos
e il merlo soffiò sulle ossa dei morti col suo canto.
seduti sotto un albero, sentivamo il tempo affondare sempre di più.
il cimitero e il cortile della scuola s’incontrarono e confluirono
come due correnti in mare.
il suono delle campane si avviò nell’aria portato dalla morbida
leva dell’aliante.
lasciarono un più grande silenzio sulla terra
e i quieti passi di un albero, i passi quieti di un albero.
tomas tranströmer
ogni notte al rintocco delle 11
arriva fin qui la foresta morta.
accuratamente tagliata e deposta
in mucchi sui tanti vagoni del treno.
il treno è lungo – molto lungo.
e un vento levandosi una volta ha attraversato
cantando tutte le chiome degli alberi.
lars gustafsson
ho pensato i tuoi occhi
così tante volte
che alla fine il pensiero
mi è rimbalzato addosso
e non ho più avuto un gesto
che non fosse riflesso
dal tuo sguardo
questo dirò a discolpa
quando dovrò spiegare
perché della mia vita
ho fatto cosa aliena
e complicata
michele mari
salgo alle montagne dove metto distanza dal
trabocchetto-botola
delle tue gocce, mare. vado su ghiaccio e neve,
sgretolo sotto i passi gli infiniti cristalli esagonali,
per naufragio mi tengo la valanga e il crepaccio,
per asfissia l’ossigeno che in alto si dirada.
alzo l’ultimo passo che depone in cima
dove non è più suolo, è aria. màim, shamàim, acque, cieli,
l’ebraico dei deserti dalla rima risale alla sostanza
comune: màim, shamàim.
siamo fatti di questo, d’acqua e aria, come le comete,
ma senza ciclo di riapparizione e questo è sufficiente
per sollievo e congedo.
erri de luca
nei canali di otranto e sicilia
migratori senz’ali, contadini di africa e di oriente
affogano nel cavo delle onde.
un viaggio su dieci s’impiglia sul fondo,
il pacco dei semi si sparge nel solco
scavato dall’ancora e non dall’aratro.
la terraferma italia è terrachiusa.
li lasciamo annegare per negare.
erri de luca
perdo perché ho un’idea
perdi perché non ce l’hai
perde perché non si sa se ha un’idea
perdiamo perché abbiamo poche idee
perdete perché avete tante idee
perdono sempre gli stessi
s.m.
ogni mio senso è in ogni senso immerso
e dice addio ogni cellula a ogni cellula:
risensata attraverso l’universo,
io sono un’alga, un’ala di libellula.
patrizia valduga
parola, cosa mistica e profonda,
discendi, indistruttibile nei cuori
come luce rapida ora inonda
la nostra oscurità dei tuoi fulgori.
patrizia valduga
è severa l’opinione del sole
sopra le mie membra;
né io la contrasto.
ottobre è il mese della dolce grappa:
dai vetri scivolano le mosche moribonde.
io aspiro
ad una sconfitta dignitosa.
g. manganelli