liverpool non esiste.
questo sa la donna che si siede dietro i vetri dell’aeroporto a veder passare il fiume mersey,
un fiume che assomiglia alla misericordia ma lungo il quale non risaliranno i salmoni: non arriveranno al torrente, non attraverseranno il tunnel dell’orso, non deporranno uova sulla
cieca obbedienza delle bussole.
perché liverpool non esiste, sul fiume mersey galleggia il guscio di noce in cui naviga il suo
dente da latte.
galleggia la matriosca, incinta di sé stessa, galleggia ancora e ancora fino alla sua ultima bambola, minimo racconto d’infanzia, infinito racconto della sublimazione.
galleggia l’ala dell’albatro e sorvola il gabbiano e la cera di icaro è adesso ruggine nel limo.
dall’altra parte del canale, sul fiume mersey, galleggia lo scarabeo della vita sui denti del gatto del
cheshire, vale a dire, una foglia sopra la sua ombra, un cerino nel vuoto della fiamma, una piuma
nel guscio, e la sua vita in una carta senza bottiglia.
poco importa ormai che liverpool non esista.
chi ha messo un piatto di latte al gatto, chi ha saputo vedere l’albero all’ombra della foglia e non dargli fuoco,
e chi raccoglierà l’inchiostro con la piuma del merlo che qualche volta attraversò un giardino, chi per scrivere dove, per scrivere cosa.
e galleggia il souvenir africano, splendore della pietra che oggi è rovina,
pelle nuda in transito che qui si converte in luminosa vertigine degli indumenti.
ma questo legge lei oggi nel fiume mersey, e si chiede chi ha avuto misericordia delle caviglie,
chi delle pupille degli gnu dove abitavano le gazzelle, dei fiumi che straripano dal loro letto.
colui che si è messo il cappotto e ha attraversato la città che non esiste.
questo guarda oggi nel fiume mersey.
alla fine, tutto ciò che non esiste è una mappa dell’altra sponda.
per questo, oggi, liverpool non esiste, dall’altro lato dell’acqua. dall’altra parte del vetro.
guadalupe grande